Lu telefene (il telefono)

i Murales Lu telefene (il telefono)

Amedeo Marchetti 2009

Era uno strano telefono, chiamato senza fili, ma con il filo, formato da due scatole di pomodoro (le cornette) bucate sul fondo e collegate tra di loro da un lungo filo (i primi passi della Telecom!).

“Spesso nella piazzetta di Azzinano o, d’inverno, nella stalla di qualcuno, si parlava con partecipazione di fatti e avvenimenti recenti, vicini e lontani, anche con dovizia di particolari, pur in presenza di una informazione difficile e frammentata. La piazzetta era il telegiornale dei paesani… . Erano i tempi in cui si viveva ancora senza la televisione. Sembra impossibile, ma è proprio così. Anche ad Azzinano, dove in più non c’era nemmeno la radio, rari i giornali. Il telegrafo era uno strumento di lavoro per l’ufficiale postale e il telefono qualcosa di cui avevamo sentito parlare, così estraneo e lontano che fece aprire il portone più di una volta, senza che ci fosse nessuno, a Laurina, che era andata a serva a Roma presso una famiglia della buona borghesia. Quello squillo poi capì che non era il campanello, imparò anche a rispondere al telefono, ma nei confronti di quel diabolico strumento le rimase per molto tempo una tenace avversione”. (L’Italia la siamo fatta noi!, pag. 150).
Però l’idea di poter parlare da lontano tra di noi ci attirava; non doveva essere poi così complicato fabbricarne uno almeno stando alle spiegazioni che avevamo sentito dalla maestra sulla scoperta di Antonio Meucci. Bastavano due cornette e un filo lungo, cioè due scatole di pomodori e un rotolo di filo che ci facemmo riportare da mio padre dai cantieri della Terni, l’impresa che stava costruendo le centrali idroelettriche lungo il Vomano. Con un chiodo bucammo il fondo delle due scatole, ci infilammo su ognuno un’estremità del filo bloccandolo con un bel nodo, e ci recammo sul Campo per il primo tentativo ad Azzinano di conversazione telefonica senza pagare la bolletta. Stirammo bene il filo, portandoci alle due estremità del campo in modo che non potessimo vederci. “Pronto, pronto, sono io, mi sentite? Pronto? Qui non si sente niente. Pronto, mi sentite?” Tra “fammi sentire a me”, “gridate più forte”, “digli di tirare di più il filo”, facemmo un casino tale che alla fine, telefono o non telefono, ci sentirono pure ad Aquilano. Cambiammo cornetta, mettendo al posto delle scatole di pomodoro, quelle di Brill, il lucido per le scarpe, più eleganti e piccole, con l’orecchio che poteva aderire direttamente alla base e riprovammo con più calma. I risultati non furono eclatanti, tanto da convincerci che quel tal Meucci non la raccontava proprio bene… Bastò poi imparare a stare un po’ più zitti e lasciar parlare uno alla volta che le scemenze cominciammo a dircele pure per telefono!