Lu chiuv (nascondino)

i Murales Lu chiuv (nascondino)

Iago Barbieri 2002

Torniamo a quando eravamo una comunità sociale. la piazzetta era la base di tanti nostri giochi. Uno di questi era il nascondino. Da lì ci sparpagliavamo tra i vicoli di Azzinano nascondendoci in mezzo a stalle, fienili, sotto- scale, aie, covoni, orti, angoli di case, li pintunate. Si faceva la conta e si stabiliva chi doveva chiuvà cioè fare il capo gioco, che a quel punto doveva appoggiare la testa con gli occhi chiusi a un muro in un punto scelto come “tana” e contare ad alta voce fino a trenta. Doveva anche tenere un braccio piegato davanti agli occhi e una mano di lato perché non vedesse. Mentre lui contava, gli altri giocatori trovavano i luoghi adatti per nascondersi, senza allontanarsi troppo. Terminato il conteggio, il capo gioco gridava: “chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori” e doveva scovare, uno a uno, tutti gli altri. non appena individuato uno dei compagni, doveva gridare “tana per…” e correre alla “tana” prima di lui. Se un giocatore riusciva a raggiungere la tana senza essere individuato oppure, essendo stato individuato, raggiungeva comunque la tana prima del capo gioco, poteva dichiarare “tana!”, sfug- gendo in questo modo alla cattura. Se a raggiungere la tana era l’ultimo giocatore rimasto in gioco, poteva anche dichiarare “tana libera tutti”. In questo caso, i giocatori in precedenza catturati erano liberati e il giocatore che era stato sotto doveva contare anche nel gioco successivo.

Ad Azzinano era in uso anche una variante dello stesso gioco. Si chiamava lu lupe, il lupo, un nome che ben s’into- nava al nostro piccolo mondo in cui i lupi c’erano davvero, tanto che era facile nelle notti d’inverno sentirne l’ululato nei boschi intorno al paese e vederne le impronte sulla neve caduta durante la notte quando ci recavamo a scuola la mattina. Si giocava dividendoci in due squadre e il raggio d’azione era molto ampio. era un nascondino più dinamico, effervescente, che ci faceva battere il cuore a cento all’ora in un misto di spavalderia e timore. C’era la tre- pidazione dell’attesa, l’ansia di essere scoperti, la fuga e in più… la sfida. Quella di emettere un ululato, un uuuuuhhhh lungo e prolungato, simile a quello del lupo, che potesse dare un’indicazione su dove cercare. Di solito lo lanciava chi era più lontano, che quindi era più sicuro di poter subito dopo cambiare nascondiglio, o anche i più temerari che pur stando vicini alla tana osavano correre il rischio. Una buona strategia per confondere l’attento capo gioco e la squadra avversaria era di ululare tutti insieme o a brevissimo tempo l’uno dall’altro.